Fashion Journal

E-Commerce Fundamental

L’evoluzione digital nel mondo del fashion e-commerce

Luciana Farina ci risponde al telefono da Parigi, dove si è da pochi mesi trasferita per il ricoprire il ruolo di Responsabile International E-commerce per Dior.
Prima di entrare in questo storico marchio francese, fondato nel 1946 e oggi parte del gruppo LVMH, ha lavorato in Italia per Ermenegildo Zegna e Fendi, in un crescendo di esperienze, responsabilità e competenze, sia nel campo della comunicazione digital che nell’e-commerce.

Quando hai iniziato nel mondo digital?

13 anni fa, nel 2005. È avvenuto per caso, e poi non l’ho più lasciato. Ho iniziato in Ermenegildo Zegna: hanno visto in me una risorsa per questo nuovo asset che si stava aprendo ed ho subito accettato la sfida.
Nel fashion, sono stata tra i primi gruppi di persone che si sono occupate di digital. Gli altri settori erano più avanzati, la moda è arrivata dopo, ma direi che in questi ultimi 10-13 anni ha colmato molto bene il gap, sviluppando anche l’e-commerce.

Seconda edizione del corso di Fashion E-Commerce Management di Fashion Research Italy

Cosa si intendeva per digital nel 2005?

All’inizio era puramente comunicazione: il sito Internet, gli shooting fotografici per presentare le collezioni, le newsletter e nel 2007/2008 l’apertura delle prime pagine Facebook. Si è cominciato a parlare di e-commerce in un secondo momento. In Zegna nel 2010.
È stato Yoox a supportare un primo gruppo di aziende. Molti brand all’epoca si sono appoggiati per la parte tecnica al motore e alla tecnologia di Yoox. Il sito Internet era del brand ma powered by Yoox.

E dopo Zegna, l’esperienza in Fendi e ora in Dior a Parigi.

Sono stata in Zegna otto anni poi, nel 2012, è arrivata l’occasione di andare a Roma in Fendi. L’obiettivo è stato costruire in modo più esaustivo il sito, iniziare il marketing online, e in parallelo lavorare al lancio dell’e-commerce, che è partito nel 2015.
In Fendi ero responsabile sia della parte digital che e-commerce, in Dior è tutto molto più grande e il mio ruolo si concentra sulla parte e-commerce, con l’obiettivo, nei prossimi 2/3 anni di portarlo da un perimetro che oggi è solo europeo al mondo.

Quali i tuoi passi e mercati in agenda?

Nella mia road map c’è l’apertura degli Stati Uniti, della Cina, del Giappone e via dicendo.
Abbiamo dei referenti locali che possono portare la voce di quelli che sono gli standard o gli usi del Paese, in modo da essere localizzati. Nella moda si usa molto il vocabolo “Glocal”: rispettare le esigenze locali e nel frattempo mantenere un aspetto globale. Normalmente si propone un modello definito, in modo da non dover per forza ricominciare da capo in ogni paese, e da qui si fa una sorta di “Gap analysis” delle specificità di quel dato mercato.

Per localizzazione intendi l’adattamento dell’interfaccia grafica e dello shooting delle collezioni o un cambiamento nella selezione dei prodotti da paese a paese?

Entrambe le cose. La specificità può variare dalla selezione del catalogo alle funzionalità del sito; il metodo di pagamento e di spedizione possono essere diversi da paese a paese. Può variare l’attenzione alla user experience: quindi il sito si adatta partendo però dal principio che è un sito unico. Quindi non si ricomincia mai da capo, ma si apportano delle modifiche sulla base delle richieste locali.
Il mio ruolo è proprio quello di viaggiare per conoscere le usanze del Paese, incontrare le persone per capire come quel dato mercato funziona, visitare i negozi per vedere come l’esperienza off-line si realizza e provare a tradurla nel digitale.

Penso alla moda sempre come rincorsa verso “What’s next”…

Sì, però credo siamo arrivati a un punto in cui c’è poco bisogno d’altro: nella moda, così come in altri settori, l’innovazione, certo, è sempre molto importante, ma credo che il focus oggi sia l’esperienza del cliente, l’omni-canalità, l’offrire un’esperienza coordinata tra tutti i canali che il cliente visita e frequenta. Penso che per i prossimi due anni queste saranno le priorità.
Il nostro lavoro nella moda è far sì che le persone amino il brand, amino il concetto, quello che c’è dietro, e che poi o online o nel negozio vadano a comprare.

Rispetto alla tua esperienza precedente più ampia nella comunicazione digitale, come vedi il panorama dei social?

Se vogliamo è finita l’era di Facebook, mentre Instagram oggi è sull’agenda di tutti gli amministratori delegati. Oggi il numero di volte che una persona entra in Instagram è molto più alto della percentuale delle visite volontarie a un sito. Instagram è importantissimo come contatto con il brand, porta traffico al sito, che diventa l’atterraggio dove concludo la mia esperienza.
C’è sicuramente una velocità prima inimmaginabile nella profusione dei contenuti e anche in termini di produzione ci si é dovuti adattare alla velocitá per cercare di essere sempre presenti.
Ed essere sui canali social e farsi vedere è molto importante per portare traffico al sito web istituzionale.

Le persone davanti allo schermo. Si registra una diversità di attitudine da mobile al computer?

Sì, ed è un dato fondamentale. E non possiamo non prescindere dai dati che ci arrivano.
Diciamo che il 70% – 80% delle visite a un sito Internet oggi avviene tramite mobile, quindi è chiaro che se uno pensa a un contenuto lo deve pensare per il mobile prima che per il desktop. È vero però che la parte e-commerce, quindi l’acquisto, oggi è ancora molto desktop. Quindi bisogna pensare a tutte e due le esperienze. Il nostro obiettivo è rendere la parte mobile talmente facile che non ti poni più il problema di preferire il desktop, ma riesci a procedere direttamente all’acquisto dal cellulare.

Un esempio ben sviluppato di user experience, anche fuori dal mondo moda, che potremmo tener presente?

La riposta è ovvia, i siti che ho fatto io! [Ride] No, scherzo! Credo che, nella moda, si sia raggiunto un livello molto alto rispetto a qualche anno fa. Poi è gusto personale: c’è chi trova Amazon il sito più facile del mondo, io faccio fatica preferendo Nike. Ognuno vive la navigazione in modo personale: io devo trovare subito quello che mi serve dove ci sono dei siti con troppe proposte e scelte, mi innervosisco!

Il contrario allora, dei siti ancora poco funzionali e fluidi?

Quelli degli hotel, delle compagnie aeree e dei treni sono 10 anni indietro rispetto alle esigenze dei consumatori. Per la moda è vitale che l’acquisto avvenga velocemente. Se su Trenitalia stai comprando un biglietto da 90 euro, sul mio sito stai comprando un vestito da 4.000 euro!

Come oggi ci si avvicina al tuo mondo?

Per me è importante trasmettere questo messaggio a chi affronta oggi questo mondo: bisogna essere molto realistici e fare propri i valori del brand per cui si lavora e identificarne il percorso. Perché Dior non è uguale ad Amazon, perché Fendi non è uguale a Farfetch.
È fondamentale la capacità di contestualizzare e soprattutto di mettersi nei panni del cliente – o come si dice in inglese “Putting in the customer’s shoes” – bisogna capire che cosa fanno i milioni di persone che vengono a visitare il tuo contenuto e quello che stai facendo: a volte bisogna anche fare delle scelte che non dipendono da quello che pensi tu, ma dai dati. La moda sta andando veloce nel digital e nell’e-commerce ed è per questo che servono figure professionali competenti.

Facciamo quindi il nostro più grande in bocca al lupo a Luciana Farina, ospite d’eccezione della prima edizione di Fashion E-commerce Management. Giunto alla seconda edizione, il corso di Alta Formazione della Fondazione Reasearch Italy si propone di analizzare i Key Factor che determinano il successo di progetto e-commerce.


Caterina Lunghi

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