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Eco Fashion

Comunicare la sostenibilità: istruzioni per l’uso

Se tutti parlano di sostenibilità, alla fine nessuno ne parla. Per capire il vero significato di questa parola che vediamo ormai scritta ovunque anche nel mondo della moda – sfogliando riviste, mentre facciamo shopping e negli slogan pubblicitari – abbiamo fatto quattro chiacchiere con Silvia Gambi, giornalista, autrice del fortunato documentario “Stracci” e consulente aziendale. Da oltre vent’anni aiuta le imprese tessili a costruire la propria strategia di responsabilità e a comunicarla con uno storytelling adeguato, anche attraverso il suo podcast “Solo Moda Sostenibile”.

Come è arrivata a occuparsi di moda sostenibile?

Ho curato per molti anni le relazioni esterne della Camera di Commercio di Prato per cui la promozione delle aziende del tessile era il mio pane quotidiano. Siamo la patria storica del «riciclato» pertanto il tema della sostenibilità da noi è ben radicato fin dall’Ottocento con i cenciaioli pratesi. Gli «stracci» hanno sempre avuto una connotazione negativa mentre negli ultimi dieci anni si è scoperto il virtuosismo dell’attività in cui eravamo specializzati. È stato bello vivere da pratese il cambiamento di mentalità degli imprenditori e la differente percezione che di noi ha cominciato ad avere il mercato.

Da addetta ai lavori, cosa significa essere green?

Innanzitutto la parola sostenibilità ha un’accezione più ampia che non comprende solamente l’aspetto ecologico-ambientale ma anche quello etico. Non c’è una definizione condivisa quindi prenderei come esempio i «17 obiettivi di sviluppo sostenibile» approvati dalle Nazioni Unite nel 2015 in cui sono indicati anche altri diritti da garantire come il rispetto delle persone, delle condizioni di lavoro e del territorio. Il tema è piuttosto complesso, non basta scegliere un materiale piuttosto che un altro: un’accezione moderna di sostenibilità riguarda ogni aspetto dell’azienda dall’approvigionamento delle risorse, ai modelli produttivi fino all’allestimento delle fiere.

Come raccontare l’impegno verso una moda eco-friendly?

Essendo autentico. Il consumatore ormai si accorge se quello che stai comunicando non lo è. Quando richiedono la mia consulenza, la prima cosa che faccio è cercare di conoscere al meglio l’azienda perché non c’è una strategia che vada bene per tutti. Per questo, secondo me, il segreto è fare delle scelte fedeli alla natura dell’azienda anche sul piano comunicativo. Da giornalista poi penso che le parole abbiano il loro peso: il mio consiglio non sarà mai scegliere un mantra esistenziale come «io salvo il pianeta». Quante volte si vedono nella comunicazione delle aziende alberi, foglie e acque limpide. Si fa sempre riferimento al concetto di ambiente ma la sostenibilità abbraccia più campi.

Da evitare invece il cosiddetto Green Washing.

Non bisogna raccontare favolette di marketing perché la sostenibilità può essere un’arma a doppio taglio ed è sempre bene essere onesti. Il «greenwashing», questo è il termine che viene impiegato per descrivere certe “pennellate di verde” che si danno le aziende. A volte si commettono errori non in malafede ma perché nelle aziende c’è poca preparazione sul tema e anche la leggerezza purtroppo si paga. Per un’azienda una scelta di sostenibilità non è una brochure o un sito rinnovato ma un impegno che richiede investimenti e grande attenzione. Deve esserci la voglia di mettersi in gioco e di fare ricerca di nuove soluzioni per ridurre l’impatto ambientale lungo tutta la filiera. Per farlo, per esempio, si potrebbero anche intercettare fondi e progetti europei dando così spessore all’azienda, ma sono percorsi che richiedono serietà. Bisogna sognare di migliorare ogni anno di più dandosi dei nuovi obiettivi: è questa la logica che aiuta a crescere.

Quali sono le parole chiave da usare quando si parla di sostenibilità?

Ecco «sostenibilità» è sicuramente la più abusata. Suggerirei di aggiungere «etica», «consumo consapevole», «qualità». È necessario far capire quanto sia importante rimettere al centro le persone a 360° e il territorio. Anche i brand internazionali, pur se globali, stanno attivando strategie locali: c’è un grande bisogno di recuperare questa dimensione.


Giorgia Olivieri
Giornalista freelance, scrive di moda, costume e cultura. Dal 2011 cura la rubrica BOutique su Repubblica Bologna ed è co-autrice della guida Grand Tour Bologna. Ha realizzato alcuni reportage indipendenti che sono stati oggetto di mostre e pubblicazioni. Collabora con varie testate tra cui Vanity Fair: tra le sue ossessioni la moda secondo i reali inglesi.

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