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Le parole d’ordine del lusso post COVID-19: decelerazione, sostenibilità e innovazione

65mila imprese, 620mila lavoratori, in Italia la moda è un industry da oltre 71,7 miliardi di euro, la seconda voce trainante dell’economia italiana tra le più impattate dalla pandemia.

“The State of Fashion 2020”, l’annuale rapporto di McKinsey che nella quinta edizione analizza le distorsioni del mercato dovute all’emergenza sanitaria, parla chiaro: nel 2020 i settori dell’abbigliamento e del calzaturiero globale potrebbe subire una contrazione fino al 27-30%. Ancora più colpito il lusso, dove le percentuali salgono al 35-39%. Per il segno più occorre aspettare il prossimo anno quando si stima una ripresa tra l’1 e il 4%.

Esclusive interviste ad oltre 1.400 professionisti del settore e più di 6.000 consumatori per far luce sul nuovo scenario dei prossimi 12/18 mesi.
Il comparto tessile-moda ha da sempre dimostrato una resilienza straordinaria, ma quali cambiamenti strategici potrebbero essere necessari per uscire da questa crisi globale?

Navigare nel presente, pianificare il recupero e dare forma al futuro.

Naturalmente la priorità di ogni azienda è stata nell’immediato quella proteggere i propri dipendenti, consumatori e partner commerciali, tutelandone salute e garantendone la sicurezza. Molte hanno riconvertito le produzioni per contribuire ai rifornimenti di mascherine, camici e disinfettanti. Non sono infine mancate cospicue donazioni a sostegno dell’attività di ospedali e altre organizzazioni senza scopo di lucro. Il miracolo del Made in Italy, come lo ha definito il commissario straordinario Domenico Arcuri? No, solo il dinamismo e la generosità che lo contraddistinguono.

I leader del lusso cercano ora di guardare al futuro, interrogandosi sui nuovi paradigmi del mercato che avranno inevitabili ricadute anche sulle molte fabbriche al dettaglio ed artigiani che prestano il loro know how, di cui occorre garantire la sopravvivenza.

Gli analisti evidenziano cinque trend: il primo è l’istinto di sopravvivenza che porterà i brand ad adattare i propri modelli operativi alle evoluzioni del mercato. Segue la diffusa mentalità del risparmio che richiederà uno sforzo creativo per riconquistare consumatori sempre più disillusi. La scossa darwiniana fa riferimento al declino delle aziende già in difficoltà che comporterà un netto mutamento degli attuali equilibri di forza tra i player. La pandemia comporterà infine un totale ripensamento della catena del valore con un forte ritorno all’essenzialità, ad una produzione rispettosa dell’uomo e dell’ambiente, ma anche alla centralità del cliente e dell’innovazione.

La necessità di allentare i tempi della moda

Gli imprenditori italiani concordano che questa drammatica esperienza possa costituire anche un’opportunità per rallentare, abbandonare il superfluo e focalizzarsi sull’autenticità.

Brunello Cucinelli, da sempre sostenitore di un nuovo umanesimo della moda, in una lettera agli operatori del sistema, scrive:

Nella sofferenza di oggi c’è anche il bene della reazione morale che ci renderà migliori.

Armani fa lo stesso con WWD auspicando una decelerazione dei tempi del sistema in quanto “c’è decisamente troppa offerta rispetto all’effettivo bisogno”. Lo stesso messaggio viene trasmesso da Elisabetta Franchi ai suoi 2 milioni di follower su Instagram: “In una stessa stagione si presentano la Cruise, la Pre, la Main, poi la Catwalk ed infine l’Haute Couture. Indipendentemente dalle riflessioni che possono nascere dal Coronavirus, mi sento di dire che sul mercato vengono presentate decisamente troppe collezioni”. Stesso messaggio anche da parte di Dell’Acqua al Corriere della Sera “troppe collezioni, ci stiamo rendendo conto che tutti questi vestiti non servono”.

Tombolini, presidente di Camera Buyer, pur ammettendo la difficoltà di cambiare un sistema ormai rodato, invita alla lentezza e al rispetto:

Siamo di fronte ad una crisi: non dobbiamo considerarla un danno per il sistema ma l’occasione per correggerlo. Bisogna allentare i ritmi serrati e scalare una marcia.

La sua proposta molto dibattuta è di saltare una stagione: non uscire con la P/E 21 per dare il giusto tempo al sistema di riallinearsi e concentrare gli appuntamenti con fiere e fashion show.

L’attenzione alla sostenibilità ambientale ed etica

Questa rinnovata spinta al Safety Fashion, rende ancora più attuale anche l’attenzione per la salute dell’ambiente, oltre a quella dei lavoratori. Se la forte pressione economica, potrebbe portare a considerare la responsabilità sociale come un problema secondario, le ricerche la confermano invece come una componente essenziale per una strategia a lungo termine.

Si prevede un rinnovato desiderio verso un consumo più responsabile ed informato. In particolare da parte delle nuove generazioni, sempre più attratte da marchi con valori fermi e una chiara missione sociale.
Questo rafforzerà quindi anche la necessità per le aziende di rafforzare le proprie strategie di green marketing per fornire informazioni dettagliate sui loro processi e materiali di produzione.

Lo stesso vale per l’impatto etico delle proprie scelte: mai come ora occorre tutelare dipendenti e fornitori. Creare realtà più coese e resilienti, risulta fondamentale per resistere alla crisi ed avere successo a lungo termine.

La centralità dell’innovazione per raggiungere il consumatore

L’attuale stato di emergenza sanitaria ha fortemente accelerato il rinnovamento del sistema moda italiano. Un processo già avviato, riconosciuto dal Financial Times come origine di un quinto delle mille realtà più cresciute in Europa negli ultimi tre anni.

In particolare, ha ridefinito il tema del digitale come supporto alla cultura, alla tradizione e alla competenza artigiana, sinonimo dell’insostituibile qualità Made in Italy. La digitalizzazione della supply chain – dalle piattaforme di lavoro da remoto, agli showroom virtuali fino ai canali digitali di comunicazione – può infatti costituire un valido aiuto durante la crisi per mantenere la produttività, continuare le vendite e creare un senso di comunità attorno al proprio marchio.

La centralità del consumatore

Gli scenari post Coronavirus vedono i paradigmi di ogni settore ridisegnati. La Mit Technology Review prevede l’attestarsi di una shut-in economy, dove tutto diventa on demand, ordinato da casa e usufruito on line. Con le recenti restrizioni, un importante fattore di spesa per il lusso si è arrestato e si prevede solo un graduale aumento dei viaggi internazionali.
E’ quindi necessario che i marchi del lusso, da un lato rivalutino le vendite locali fidelizzando la clientela abituale, dall’altro rafforzino la propria offerta omnicanale per offrire ai buyer nuove esperienze “su misura” nei loro paesi d’origine.

“I percorsi di internazionalizzazione faranno leva su nuovi strumenti di comunicazione. Le imprese, anche piccole e medie, dovranno farsi carico di nuovi valori e linguaggi.” commenta a Il Sole 24 Ore Stefano Micelli – economista e docente di International Management all’Università Cà Foscari di Venezia.
Concorde anche il presidente Ferro dell’ICE che ad Avvenire dichiara: “Anche l’export ne uscirà rinnovato. Stiamo lavorando per diffondere l’e-commerce, che rappresenterà sempre di più un’occasione per accrescere le opportunità di vendita e le presenze sui mercati esteri.”

Un’occasione soprattutto per le piccole realtà che, con le soluzioni digitali, possono aggirare la competizione e guadagnarsi direttamente la fiducia del pubblico.

Un interscambio virtuale tra brand, consumatori e partner commerciali che sta coinvolgendo anche le settimane della moda e le fiere, tradizionali occasioni di relazione. In attesa di un ritorno alla normalità, gli organizzatori stanno studiando come riproporre la magia di questi eventi attraverso modalità alternative.

La propensione al cambiamento

Nella cornice di questi scenari incerti e complessi, alcuni marchi avranno la possibilità di emergere più forti dalla crisi. Altri, faranno fatica a preservare l’integrità delle loro attività. Molto dipenderà dalla capacità di rispondere con rapidità alle urgenze e di pianificare con attenzione le strategie a lungo termine.

I ritardi strutturali e la scarsa comprensione di ciò che è possibile fare grazie alle tecnologie digitali, costituiscono gli ostacoli più diffusi nel nostro paese.
L’auspicata innovazione di processi di produzione e strategie di comunicazione digitale diventa quindi attuabile solo attraverso collaborazione, apprendimento di nuove competenze e/o esternalizzazione dei processi non governabili internamente.

Per dare un concreto contributo allo sviluppo della filiera moda e lusso, negli anni soggetta a questi profondi cambiamenti, la Fondazione Fashion Research Italy si propone di affiancarne le imprese con un ventaglio di proposte strutturate in base alle effettive esigenze di rinnovamento.


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