Fashion Journal

Eco Fashion

Ykk e il mestiere di chiudere

La multinazionale giapponese è il punto di riferimento mondiale per le cerniere lampo e gli altri sistemi di chiusura, dietro i quali c’è un mondo in evoluzione tecnica e sempre più sostenibile. Ne parla Enrico Degara, Chief sustainability officer di Ykk Italia.

Oggi ci dedichiamo a un meccanismo apparentemente semplice, che può sembrare quasi banale fino a quando non si rompe creando diversi imbarazzi se va bene, fortissimi rischi se l’utilizzatore si trova in particolari luoghi o condizioni di lavoro. Questo meccanismo è la chiusura lampo, il cui leader mondiale arriva dal Giappone: si chiama Ykk e la sua fondazione risale al 1934, per opera di Tadao Yoshida. Oggi è presente in 72 nazioni con oltre cento tra sedi e impianti produttivi. Ed è anche in Italia, dove opera dalla sede di Pero (Milano) con due stabilimenti a Prarolo (Vercelli) e Ascoli Piceno e con alcune filiali presenti nei distretti più importanti della moda (Carpi, Sesto Fiorentino, Napoli). L’ideazione del meccanismo – come ci racconta il Chief sustainability officer di Ykk Italia, Enrico Degara – non fu di Yoshida, il quale ebbe invece il merito di sviluppare i macchinari per l’applicazione delle cosiddette “zip” e di allargare la tipologia delle chiusure, che all’inizio erano esclusivamente di metallo, ad altri materiali e con altre tecniche costruttive. All’inizio degli anni Cinquanta, superata la tragedia della seconda guerra mondiale, Ykk inizia la sua espansione internazionale e oggi può vantare un fatturato consolidato globale di quasi 7 miliardi di dollari, con oltre 10 miliardi di pezzi annualmente prodotti. L’ingresso nel nostro Paese risale al 1968. “Si tratta di un mercato molto strategico per la casa madre, perché l’Italia è il laboratorio mondiale della moda”, spiega Degara in quest’intervista.

Quanto pesa la moda sul vostro giro d’affari complessivo in Italia?

Almeno il 90%. Il resto dipende dagli altri ambiti, davvero molti e differenziati, dove sono presenti le chiusure lampo. Una nostra recente ricerca ha evidenziato come ognuno di noi utilizzi mediamente 11 volte al giorno un sistema di chiusura. Ma la moda è il comparto più rilevante anche a livello di ricerca, perché considera le cerniere come elementi funzionali e decorativi di grande importanza.

Come avviene la ricerca in Italia?

Il centro di cui disponiamo è tra i più importanti al mondo. La casa madre investe in Italia non solo per le vendite che derivano dagli investimenti, ma anche e soprattutto per capire le tendenze in atto e quel che avverrà negli altri Paesi dopo una o più stagioni. La moda italiana, infatti, ci pone sfide continue e ci richiede innovazioni che all’inizio possono essere considerate impossibili; poi, con la buona volontà e con un certo know how, si riescono a sviluppare e diventeranno gli standard del futuro. Essere in Italia, da questo punto di vista, è determinante.

Che evoluzione ha avuto la chiusura lampo?

Dietro questo accessorio apparentemente banale ci sono molteplici tecnologie combinate. Una cerniera è composta da una parte tessile che viene sottoposta a processi di tintura, poi abbiamo le parti meccaniche come il cursore, i dentini di metallo con le loro finiture, e molto altro. La sua realizzazione è il frutto dell’impiego di tecnologie meccaniche, chimiche, tessili, galvaniche… L’evoluzione del prodotto è legata alle tecnologie produttive che nel tempo si sono abbastanza consolidate, alle modalità di costruzione e soprattutto ai materiali, oggi in piena effervescenza. Senza dimenticare le evoluzioni legate agli utilizzi extra-moda, come le applicazioni tecniche che richiedono sviluppi specifici e dove la qualità della chiusura spesso può fare la differenza tra la vita e la morte. Basti pensare all’abbigliamento da lavoro in ambienti pericolosi, alle mute da immersione profonda, a quelle per i laboratori da contenimento biologico. La combinazione di tecnologie, materiali e necessità di utilizzo determina l’evoluzione del prodotto.

Come cambiano i materiali?

La forte attenzione alla sostenibilità ambientale comporta l’uso di materiali riciclati, bio based, compostabili. I materiali del futuro sono quelli a impatto ambientale minore o nullo. Se in passato la richiesta era tutta orientata alla qualità, oggi quel che i clienti ci chiedono è la sostenibilità. Con una differenza: la qualità era una scelta, la sostenibilità sarà invece un obbligo perché senza una produzione sostenibile non riusciremo a sopravvivere.

Quali sono oggi i materiali al centro della scena?

Ci misuriamo con offerte disparate: alcune sembrano essere esperimenti di laboratorio non destinati a lunga vita, altre appaiono consolidate o consolidabili. Si va da materiali che derivano da fonti naturali, come gli scarti di lavorazione dall’agricoltura che sono quantomeno da investigare, fino ai materiali bio based ovvero fibre identiche a quelle di sintesi ma che contengono più parti di derivazione naturale.

E i dentini? Continueranno a essere prevalentemente di metallo?

Per sua natura, il metallo non è particolarmente impattante perché si tratta di un materiale riciclabile. La ricerca, in tal caso, è focalizzata sui processi produttivi, perché i metalli sono sottoposti a trattamenti galvanici di estremo impatto ambientale per l’elevato utilizzo di energia, acqua, prodotti chimici impattanti e pericolosi. Per questo, Ykk sta sviluppando processi che abbattono l’impatto ambientale e garantiscono un’elevata durabilità del prodotto.

Quali saranno gli sviluppi futuri?

Il capitolo più importante è quello legato alla circolarità. Si parte dall’utilizzo di materiali di recupero, già in atto, per arrivare a un’ideazione del prodotto che favorisca il riciclo stesso del capo o dell’accessorio alla fine del suo ciclo di vita. Un ambito che coinvolge il cosiddetto eco-design, perché bisogna ripensare la concezione del capo stesso: la sua multimaterialità rappresenta infatti uno dei punti critici, perché il disassemblaggio è spesso difficile e comunque antieconomico.

Un altro aspetto cruciale è quello dei ricambi. Quando si rompe una chiusura lampo, la sostituzione è costosa e induce il consumatore a eliminare il capo o l’accessorio. Come vi muovete in quest’ambito?

Premettendo che Ykk opera quasi esclusivamente b2b e quindi non offre soluzioni al consumer, l’argomento comunque ci riguarda e stiamo cercando di sviluppare accessori che siano facilmente sostituibili. Per esempio, Ykk Turchia ha ideato un bottone per i jeans che non viene applicato perforando il tessuto e operando per pressione, il che comporta l’eventuale sostituzione solo attraverso il canale professionale, ma per avvitamento. In questo modo, se si dovesse rompere, deteriorare o semplicemente se il consumatore volesse sostituirlo per cambiare aspetto al proprio jeans, potrebbe agire da solo. Nella valigeria, invece, è emerso che la terza ragione di rottura è lo sfilamento del tiretto dal cursore, perché spesso i trolley vengono riempiti all’eccesso e poi per chiuderli siamo costretti a usare la forza, così il meccanismo cede. Per risolvere il problema, abbiamo sviluppato un cursore che permette al consumatore di sostituire direttamente il tiretto a mano, senza dover andare in un negozio specializzato. E il ricambio viene fornito dal rivenditore insieme alla valigia, esattamente come si fa per i bottoni nell’abbigliamento. Così il cliente finale può riparare facilmente il danno e si evita, come spesso accade, di dover eliminare la valigia perché la riparazione costa troppo.


Andrea Guolo
Giornalista professionista specializzato in economia, scrittore e autore teatrale, ha pubblicato libri per le edizioni Franco Angeli, San Paolo Marsilio, Morellini, tra cui La borsa racconta (2007, Franco Angeli), Uomini e carne. Un viaggio dove nasce il cibo (2009, Franco Angeli), Costruttori di bellezza (2014, Marsilio) e #IoSiamo. Storie di volontari che hanno cambiato l'Italia (2021, San Paolo). Fondatore e direttore di ItalianWineTour.Info, attualmente scrive per gli editori Class (Mf Fashion), Condé Nast (Vogue Italia), Gambero Rosso, Gruppo Food e per altre testate italiane ed estere.

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