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Fashion Journal

Eco Fashion

La moda trasparente passa dal consumatore al produttore

Il concetto di moda trasparente include essenzialmente due attori: il produttore – comprensivo di tutti i passaggi di subfornitura – e il consumatore finale e si fonda sostanzialmente sul rispetto per i lavoratori (responsabilità sociale d’impresa) e per l’ambiente in generale.

Cosa significa trasparenza

Perché un marchio possa definirsi “trasparente” deve rendere pubblici tutti i dati relativi alla sua catena produttiva, consentendo al consumatore di poter verificare in che modo viene realizzato il capo che indossa in termini di localizzazione geografica, materie prime usate, manodopera utilizzata e relativo costo, processi di lavorazione e confezionamento. In altre parole, ogni aspetto dell’intero ciclo di vita del prodotto deve poter essere accessibile e analizzabile alla luce del sole.

Nel corso degli anni questi concetti hanno acquisito valore e importanza sempre maggiori, fino a diventare oggi un imperativo e ormai quasi un obbligo di legge che va ben oltre la semplice soddisfazione del consumatore. Ma quando si è innescato questo processo, quando si è palesata la necessità di chiedere maggiore chiarezza? Per semplificare, sono stati due gli avvenimenti che hanno acceso i riflettori sul tema, complice una forte reazione emotiva da parte del pubblico: il primo risale agli anni ’90, quando si diffuse la notizia che alcuni grossi brand sportivi impiegavano bambini per confezionare le loro merci; il secondo al 2013, quando crollò la fabbrica tessile Rana Plaza in Bangladesh, portando alla luce i misfatti dietro la subfornitura delocalizzata di importanti marchi di lusso.

Transparency Index by Fashion Revolution

A seguito di questi tragici avvenimenti si sono costituiti i primi movimenti no profit volti a sensibilizzare il pubblico circa la necessità di fare acquisti consapevoli e di conoscere la genesi dei capi, l’inquinamento prodotto dall’industria del fashion e la possibilità di invertire la rotta tramite la richiesta di trasparenza e il sostegno di nuovi modelli economici. È il caso di Fashion Revolution, nato proprio nel 2013 e promosso da Carry Somers e Orsola De Castro, che opera per un cambiamento positivo nella moda e che annualmente redige il Transparency Index, uno studio che valuta proprio la trasparenza di ogni marchio.

Le informazioni che raccoglie sono il risultato dell’incrocio di dichiarazioni rese pubblicamente dalle aziende mediante documenti, rapporti e questionari inviati loro dal Movimento per cercare di arginare il fenomeno del greenwashing. Duecentocinquanta brand tra i più conosciuti vengono valutati per il numero di informazioni rese pubbliche secondo duecentoventi parametri, che riguardano, in buona parte, aspetti etico ambientali come l’impatto sulla biodiversità, il benessere animale, l’uso di sostanze chimiche, le fonti energetiche, la gestione dei rifiuti, lo sfruttamento del lavoro, la parità di genere, le libertà sindacali dei lavoratori, le retribuzioni… ma anche la tracciabilità dei fornitori e l’impegno delle aziende in ciascuna di queste direzioni.

I dati dell’indice del 2020

In base all’ultimo Transparency Index (2020) si rileva un ottimo trend di miglioramento nella tracciabilità per i grandi venditori, a scapito dei brand di lusso che ancora dichiarano in maniera insoddisfacente. Primo in classifica risulta infatti H&M, che rende pubblici il 73% degli indici analizzati dal report, seguono poi C&A con una trasparenza del 70%, Adidas e Reebok con il 69%, Patagonia e Marks&Spencer con il 60%. Nel mondo del lusso, invece, Gucci risulta primo con appena il 48%. In generale emerge che solo un numero limitato di marchi sono disponibili a rivelare le policy di pagamento dei propri fornitori.

In sintesi il Transparency Index da un lato rappresenta uno strumento utile al consumatore e dall’altro un incentivo alle aziende a migliorarsi in termini di tracciabilità, al fine di rientrare nei posti più alti della classifica. Inoltre, essendo stilato per argomenti, consente una comparazione e valutazione di quelli che sono i punti critici e virtuosi del settore tessile.

La trasparenza come obbligo di legge

Se fino a qualche anno fa, dunque, la trasparenza era un concetto “a carico“ del consumatore, oggi, con l’approssimarsi della trasformazione di questo concetto in obbligo di legge, sta diventando sempre più un onere e un requisito necessario per i produttori. È notizia recente che la Francia ha varato una legge che determina la responsabilità dei brand sull’approvvigionamento delle materie prime, il cui mancato rispetto può essere denunciato dalle organizzazioni di consumatori e che la Germania ne ha approvata una lo scorso luglio che avrà effetti dal 2023, stabilendo che le imprese dai tremila dipendenti in su devono garantire, attraverso la messa in campo di adeguate misure, la tutela dei diritti umani e la sostenibilità ambientale dell’approvvigionamento.

Sicuramente la strada verso la totale trasparenza della catena produttiva è ancora lunga, ma si percepisce già come stia mutando l’approccio a questo tema anche dal punto di vista politico.

Per queste ragioni, la trasparenza e gli adempimenti ad essa connessi saranno uno degli argomenti trattati approfonditamente nella prossima edizione del corso Green Fashion: Necessità e strumenti per una moda sostenibile, che si terrà in presenza a Bologna e in streaming il 19, il 20 e il 26 novembre 2021 (a cui si aggiunge il workshop del 27 novembre in esclusiva per i partecipanti in presenza).


Silvia Zanella
Archive Assistant dell’archivio della Fondazione Fashion Research Italy di Bologna, si è occupata della catalogazione e del condizionamento dei diversi fondi archivistici sin dalla loro costituzione, svolgendo anche attività di formazione sulle tematiche dell’archivistica di moda e dei processi di stampa tessile. Ha conseguito la laurea magistrale in Storia dell’Arte presso l'Università di Firenze e nella medesima città ha svolto uno stage post laurea presso il Museo Salvatore Ferragamo, dove ha collaborato all'organizzazione della mostra Un palazzo e la città, affiancando le attività della Direzione.

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