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Fashion Journal

Comunicazione Moda

Branded entertainment: un nuovo modo di raccontare la moda tra web series e arte

Non serve ricordare quanto il rapporto tra cinema e moda, tra immagine e costume, tra evoluzione tecnica e sperimentazione sia antico e fecondo. Dalle prime realizzazioni dei grandi fotografi del Novecento ai film per la distribuzione generalista, ai cortometraggi fino alle campagne pubblicitarie d’autore, come quelle realizzate da autori come Guadagnino, Polanski e molti altri.

Ma dalla metà degli anni ’90 ci appare che a questo rapporto sia stata impressa una accelerazione costante, complice il branded entertainment. Una nuova strategia comunicativa in cui i concetti di storytelling e di viralvideo si fondono e massimizzano per la creazione di nuovi contenuti.

Storytelling audiovisivo, l’arte secondo Matthew Barney

Spartiacque fondativo, se proprio ne va citato uno, l’artista contemporaneo, regista e videomaker Matthew Barney – noto ai più per essere stato il marito della cantante islandese Björk – e la sua opera simbolo, Cremaster Cycle. Composta da ben 5 lungometraggi ipnotici e folgoranti, dall’estetica pronunciata da autentico fashion addicted, al cui fascino perturbante non si può che soccombere.

Una ricerca attenta e analitica della tradizione folk scozzese al classicismo romano, il preppy americano al bestiario fantasy. Cremaster è sintomo di una passione che fonde digitale ante litteram – siamo pur sempre nei primi ’90 – alla visione di una narrazione audiovisiva. Caso raro in cui più lungometraggi sono concatenati tra loro.

Doveroso ricordare anche il suo progetto cinematografico e artistico del 2005 Drawing Restraint 9, composto da un lungometraggio, e da un ampio e sfaccettato ecosistema transmediale a corredo. Diciannove le opere tra sculture, fotografie, disegni e libri, ognuna delle quali vive in relazione alle altre.

La sua passione per la moda non è solo arredo o costume, finzione o accessorio, è ancora ricerca – questa volta per la tradizione medievale giapponese. Quella di Matthew Barney è l’opera artistica che tra la prima metà degli anni ’90 e i primi 2000 ha sicuramente rappresentato il più avanzato – per immaginario e per realizzazione tecnica – punto di congiungimento tra fashion, arte e storytelling audiovisivo.

Corporate storytelling, l’esempio di Chanel

Avanziamo di una decina scarsa d’anni per incontrare un altro esempio eminente per realizzazione e valorizzazione del DNA di un fashion brand. Inside Chanel, una web serie realizzata da Chanel a partire dal 2012 e che a oggi è arrivata al trentesimo episodio. Un perfetto esempio di creatività digitale, messa al servizio del fashion e della sua narrazione attraverso i mezzi del video storytelling.

Brevi video, che raccontano la storia e i valori fondanti della maison oltre che celebrare la sua iconica fondatrice. Ogni episodio si contraddistingue per una differente tecnica compositiva – dal disegno, al collage, dallo stile optical, ai footage d’archivio. Stesso discorso per la cifra estetica che spazia dall’infografica, ai richiami al film muto, dal documentario, all’estetica compositiva da cinema hollywoodiano.

Nell’episodio 13, per esempio, si racconta come dietro l’iconica giacca in tweed ci siano 130 ore di artigianato sartoriale sotto l’occhio vigile di una capo sarta, i colpi di genio di Mademoiselle Chanel, e quelli più recenti di Karl Lagerfeld. Questa è Haute Couture secondo Chanel.

Le tecniche cinematografiche, Kenzo per il web

Dal sofisticato racconto seriale di Chanel al commercial d’autore. Esempio del rapporto fruttuoso tra fashion e narrazione per l’audiovisivo è la pubblicità della fragranza Kenzo World, commissionata nel 2016, appositamente per il web, al regista americano Spike Jonze.

L’autore, celebrato per film come Essere John Malkovich e Il ladro di orchidee dirige la giovane attrice Margaret Qualley che, da ex ballerina, si lancia in una folle coreografia alla ricerca di una violenta espiazione fisica. Il tutto sulle note sincopate di Mutant Brain scritta da Sam Spiegel e Ape Drums. Lo spot ha un livello di video storytelling impareggiabile e raffinatezze tecniche e compositive difficili da decifrare anche per un occhio esperto. Il livello di postproduzione e computer-generated imagery (CGI) è altissimo, tanto che sembra tutto estremamente naturale.

Lo spot per il web ha poi generato una viralità difficile da replicare, tanto da produrre una quantità di parodie ed emulazioni senza pari, alcune delle quali veri e propri tributi da parte di altri brand.

Branded content, la web serie firmata Gucci

Arriviamo a oggi, e per l’esattezza a Overture of something that never ended, progetto di storytelling video e social, estetico-politico, con cui Gucci punta a innovare (o sradicare) il concetto stesso di sfilata e di calendario del circuito fashion. Diretto da Alessandro Michele e Gus Van Sant, di cui non dimenticheremo film come Elephant, Milk o Belli e dannati.

Alla miniserie di cortometraggi – anche se la nomenclatura tradizionale dell’audiovisivo come del web qui sembra stretta – è affidata la presentazione della nuova collezione. Sette episodi interamente girati a Roma in cui la protagonista, Silvia Calderoni – attrice, performer e scrittrice – vive una surreale routine quotidiana. Diversi i talenti internazionali che incontra, da Paul B. Preciado, Achille Bonito Oliva e Billie Eilish, tutti nel parterre del brand.

Con Overture Alessandro Michele rende vero e concreto quanto aveva avuto modo di dichiarare nel suo Appunti dal silenzio. Un manifesto pubblicato sul profilo Instagram di Gucci in cui annunciava che il brand non avrebbe sfilato secondo un calendario ufficiale della moda, ma secondo un ritmo che prevede due sole presentazioni all’anno.

Sento l’esigenza di un tempo mio, svincolato da scadenze etero-imposte che rischiano di mortificare la creatività – e svincolando in questo modo – la possibilità di raccontare, dalla tirannia della velocità

Negli ultimi vent’anni, dalla nascita dei social alla distribuzione web dei contenuti video, il rapporto tra fashion e immagini in movimento si è fatto più sfaccettato, aperto alla scoperta di nuovi format e contenuti, imponendosi come uno dei territori culturali più fertili oggi.


Ferdinando Morgana
Lavora nel campo dell'Education Management dal 2011, creando e gestendo programmi di formazione sia finanziata che a mercato.

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